… Ciao Luigi…
Molti, come me, hanno incontrato un uomo che ha dedicato la vita alla valorizzazione della sua terra, senza mai dimenticare di essere prima un padre, poi un imprenditore e solo dopo un professore.
Molti, come me, hanno incontrato un uomo che ha dedicato la vita alla valorizzazione della sua terra, senza mai dimenticare di essere prima un padre, poi un imprenditore e solo dopo un professore.
Già mentre la versavo, mi parlava. Colava lenta e cremosa nel decanter, con un giallo paglierino brillante che sapeva di fascino e di allure, come una chanteuse capace di ammaliare con un solo sguardo. Nel bicchiere non precipitava, scivolava con calma, quasi a farsi desiderare. Respirava, si apriva, ammiccava con le sue prime note olfattive.
La cantina di affinamento e produzione non è in campagna, ma nel palazzotto di famiglia, in pieno centro storico di Loreto, in via del Baio. Nota a margine per intenditori: sulla stessa via si trova anche la famiglia Valentini. Ho detto tutto.
Con il Fabri, invece, la famiglia de Corato ha resistito alle sirene del mercato. Hanno fatto un vino che sa di Puglia, di Murgia, di pietra carsica. Un vino che sa di giornate passate a spaccare pietre per fare muretti a secco, delimitare vigne e proprietà. Altrove li chiamano cru. Qui, semplicemente, era la vita di tutti i giorni. E a fine lavoro, quel nettare diventava l’energy drink di chi non aveva bisogno di Red Bull.
Francesco, invece, è un artigiano vero. Produce da sempre tre soli vini, figli della sua terra. Non vogliono convincere nessuno: non sono presuntuosi, non hanno muscoli da esibire, non alzano la voce. Ti seducono piano, con la grazia di una dama d’altri tempi e la cortesia di un gentiluomo. Ti conquistano così, senza prepotenze. E sì, sono vini divisivi.
Oggi, fortunatamente, produttori come Giancarlo Ceci hanno riportato dignità a questo vino. Contro ogni moda effimera che vuole i rosati scoloriti, pallidi, tendenti al trasparente. E perché poi? Per sembrare francesi? No, grazie. Il Bombino Nero è un vino con un’identità vera, che senza interventi forzati si rivela sapido, profumato e godurioso. Al contrario, per togliergli personalità dobbiamo lavorarci molto, troppo. E a che pro?
La flora selvatica entra in scena con discrezione: note aromatiche erbacee, di elicriso onnipresente, si fondono a un registro floreale elegante e modulato, che evolve come un tema in variazione.
Non storcete il naso: avete capito benissimo. Un Pinot Nero e un Riesling Renano che nascono sulle montagne dell’Aquila, a ottocento metri sul livello del mare. Confesso: non lo conoscevo nemmeno io. Ma l’ho bevuto e — detto in modo poco accademico — a me mi piace assai.
Il sorso è misurato, mai eccessivo, carezza il palato con frutto pieno e sfumature mentolate, con un finale lievemente rinfrescante ma sempre sostenuto da un corpo solido, ricco, armonioso.
Bastava guardarlo: le tonalità intense del colore, i profumi delicatamente floreali intrecciati a leggere sfumature di spezia nera, quel gusto amarognolo e inconfondibile… tutto parlava la lingua del Sud, della terra rossa, del sole. Tutto evocava una tradizione, un’origine, una memoria.
A fine giornata, mi sono ritrovato ad apprezzare sinceramente quel manipolo di degustatori così diversi, eppure perfettamente complementari. Lo sporco sestetto ha dato vita a un confronto vero, senza filtri, che ha fatto bene a tutti. Un confronto che, per una volta, non è rimasto confinato tra le righe di una scheda tecnica, ma si è trasformato in dialogo, spunto, crescita.
Forse il pubblico è semplicemente stanco di una ristorazione supponente, autoreferenziale, che ha smarrito il cliente per strada, tutta protesa a compiacere se stessa e il proprio ego. E non sono il solo a pensarla così: lo si legge ormai sempre più spesso sulle testate di settore.
Prima di entrare nel cuore della serata, è giusto soffermarsi sul contesto. Felline è un piccolo gioiello del Salento, un paese minuscolo e incantevole dove il tempo sembra sospendersi. Ideale per vacanze silenziose, lontane dal caos, eppure a soli cinque minuti da un mare spettacolare, con sabbia bianca e boschi protetti. La macchia mediterranea è protagonista: cespugli di mirto, pini altissimi e profumi che si insinuano sotto pelle.
Oggi il Nero di Troia si declina anche in versione rosato, e lo fa con risultati straordinari. I produttori pugliesi, sempre più consapevoli, lavorano in bianco le uve con tecnica e sensibilità, estraendo l’anima più fine e fragrante del vitigno, lasciando da parte le componenti più ruvide.
Vitigno rustico e generoso, il Susumaniello deve il suo nome al termine dialettale che richiama il “somarello”: come un piccolo mulo, era apprezzato dai contadini per la sua capacità di “caricarsi” di grappoli, garantendo alte rese. Oggi, invece, è diventato protagonista di vinificazioni in purezza, in una nuova fase sperimentale che cerca di domarlo senza snaturarlo.
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