Il Sannio anticamente racchiudeva un territorio molto vasto, che comprendeva zone della Campania attuale, Puglia, Molise, Abruzzo e Basilicata, solo con i romani fu ridotto e accorpato alla Campania con cui oggi condivide solo un territorio geografico.
Una terra completamente avulsa dal caos caotico dei territori confinanti. Qui regna tranquillità assoluta con paesaggi e paesi ricchi di storia e tradizioni, con una miriade di prodotti tipici e giacimenti enogastronomici di tutto rispetto.
A partire dalla particolarità degli storici vitigni campani come Fiano, Greco, Coda di Volpe, Piedirosso e tanti altri, ma soprattutto un vitigno ha attirato la mia attenzione, il Barbera, di origini incerte ma dai cui si ottiene un vino rosso dai profumi ricchi si spezia, liquirizia e frutti rossi (fragola, ciliegia), delicatamente aromatico, poco tannico e piacevolmente morbido, caratteristiche che ne fanno un compagno ideale per una tavola gioviale e quotidiana.
La storia racconta che i primi produttori di questo vitigno erano immigrati in Piemonte, che ritornati nella terra natia portarono con loro alcune marze di vitigni.
A mio parere ci sono molte similitudini con alcuni vitigni piemontesi, tipo la Freisa e il Ruchè, ma potrebbe anche essere il Barbera classico; ma è anche vero, che dopo tanti anni, i vitigni si sono acclimatati in un territorio e microclima diverso generando anche mutazioni genetiche.
Quindi, è inutile andare in fondo alla ricerca spasmodica da cui proviene brindiamo e godiamo di questo bicchiere, soprattutto su piatti della tradizione Irpina come il soffritto di vitello e
il maiale con peperoni e patate, ma anche impareggiabile è l’abbinamento con il tradizionale cibo di strada “O pere e ‘o musso” muso di vitello e piede di maiale bolliti e conditi con limone, sale e pepe.
Fra le versioni 2016 mi colpisce la freschezza di Ororosso 2016 Beneventano Dop, dell’azienda Anna Bosco, dove la ciliegia si alterna a note tabaccose delicate con un floreale che riporta alla viola.
Il Sannio Barbera Rapha’el 2013 di Ciabrelli ci conferma una discreta capacità evolutiva di questo vitigno: i profumi sono giocati su note di spezia e balsami su fondo di frutti rossi maturi. Al gusto l’acidità si alterna ai tannini di rango, ma sempre il frutto è a primeggiare, rendendo il sorso succoso e piacevole.
Ma come non citare la “Barbetta” (sempre da vitigno Barbera) dell’azienda Venditti, sempre prodotto giovane e giocato esclusivamente sulla freschezza di frutto e vivacità gustativa: un degno compagno di tavole senza fine.
Alcune versioni con qualche hanno d’invecchiamento, hanno messo in mostra una discreta capacità evolutiva, ma sempre mantenendo freschezza e piacevolezza di beva.
La Coda di Volpe, altro vitigno a bacca bianca, lo scopro tanti anni fa presso un piccolo produttore irpino: mi stupisce la cremosità del sorso e la capacità evolutiva.
La storia racconta di un vitigno utilizzato per spegnere l’irruenza acida del Greco, donandogli rotondità ed eleganza.
Ma, la vinificazione in purezza da bei risultati come la Coda di Volpe della cantina Laurti 2016 della zona del Taburno, che già dal naso si esprime cremoso e ricco di note tabaccose, miele e fiori bianchi ben in equilibrio con l’insieme. Al palato la frutta bianca è abbondante con buona cremosità nel finale.
La Fattoria Ciabrelli si distingue ancora con il Jemois 2016 sempre da Coda di Volpe, elegante nei profumi dove la mineralità esuberante si alterna al frutto perfetto, e al palato la spezia come il curry impreziosisce un sorso persistente.
Ora passiamo al Fiano che in queste terre ha una marcia in più, forse sarà l’annata 2016, ma sono tanti i produttori che hanno presentato vini di qualità.
Come il 2016 di Nifo Sarrapochiello nella zona del Taburno, dove la mineralità del terreno si esprimeva con note di salsedine e tocchi fumè, con il frutto e tanta eleganza. Il gusto è fatto di note saline e idrocarburi intensi, con buon equilibrio e acidità rinfrescante: un vino sicuramente longevo.
Molto carattere e personalità emerge dal bicchiere del Fiano 2016 di Aia dei Colombi di Guardia Sanframonti, dove le basse rese assicurano un sorso morbido e cremoso, ricco di sapidità e tanta struttura. I profumi sono ancora chiusi e compromessi dalla sua giovane età, ma netti sono i messaggi che porteranno lontano questo vino.
La nocciola, con dolci note fumè segna il Fiano de IL Poggio 2016, sempre da aria Taburno ci conferma un territorio vocato a vini di buona strutta ed eleganti, dove l’equilibrio e la sostanza sono il comune denominatore. Bella bevuta che mi rinfresca il palato e m’impone un secondo bicchiere.
E, poi c’è anche il Greco, un vitigno che ha trovato il suo habitat ideale nelle zone collinari: predilige i terreni calcarei e le escursioni termiche, ripagando il lavoro con un gusto unico e inimitabile.
Come il Greco del Sannio 2016 di Fontanavecchia apparentemente austero; vibrante al gusto con note rinfrescanti di salsedine e alga marina al palato. Eleganza e pulizia nei profumi, con sentori agrumati e floreali netti e ben espressi.
Il giallo paglierino carico, segna il Greco di Vigne di Mailes l’Aedo 2016, a Guardia Sanframonti, dove i terreni argillosi arricchiscono l’olfatto di spezzie come il curry e fiori bianchi come l’Iris, al palato sfoggia personalità e carattere con note minerali, sapide e ricche si succulenza e frutto, ottima l’acidità e sorprendente l’equilibrio.
Non da meno il Greco Trois 2016 di Cautiero, dove la nocciola si poggia su un fondo di nuances salmastre e ricco floreale. Pulizia assoluta e cremosità infinita al palato, con un finale intriso di pepe verde.
Altro vitigno da non perdere è il Piedirosso, un vitigno diffuso di tutta la Campania, originario della zona del Vesuvio, anticamente utilizzato in assemblaggio con l’Aglianico per conferire al vino frutto come ciliegia, lampone e note floreali di geranio.
Insomma una ventata di freschezza, ben rappresentata da quello di Mustilli, storica azienda a Sant’Agata dei Goti: una cittadina da visitare assolutamente.
Infatti dal bicchiere emergono un caleidoscopio di profumi di fiori e di spezie miste al frutto, un vino da bere a secchiate, dal gusto succoso e fresco, ma non banale. Dove i tannini giocano un ruolo importante ma ben avvolti dalla succulenza e un corpo di qualità.
Giocato su toni più tradizionali è il Piedirosso Columbinum 2015 di Votino, ma sempre ricco di spezia e frutti rossi che ne arricchiscono anche il palato.
Tante e sempre di qualità sono state le altre aziende degustate assieme al Consorzio del Sannio, con la puntuale organizzazione del Direttore Nicola Matarazzo e la supervisione del giornalista Pasquale Carlo, che in questa occasione ha presentato il suo libro “Vigneto Castelvenere”, un puntuale e attenta ricerca sulla viticultura di uno dei paesi fulcro della tradizione enoica sannita.
Volutamente non mi sono dilungato sui vari territori e paesi della provincia beneventana, ma, vi assicuro che un fine settimana sarebbe poco per apprezzare al meglio tutto.
Solo Benevento merita un giorno intero, una cittadina ricca di storia e di monumenti a testimonianza di un passato di rilievo.
Per approfondimenti e indirizzi delle aziende, vi rimando al sito del consorzio ben fatto e ricco di spunti per un vacanza imperdibile – http://www.sanniodop.it.