Riporto con piacere l’articolo di Antonio Paolini sull’attuale disputa fra vini naturali e convenzionali. A mio parere il vino deve essere buono e bevibile, poi fatelo come vi pare, ma… non aggredite nessuno stile di vinificazione vecchio e nuovo… un messaggio che va ad entrambi le fazioni. Grazie…
di Antonio Paolini
“Ho cenato in un ristorante romano con carta dedicata e ho assaggiato cinque vini naturali. Ce ne fosse stato uno buono. Tutti pieni di difetti, anzi tutti sbagliati”. Affermazione ad altissimo rischio, da insurrezione armata o giù di lì da parte di viticultori convertiti, consumatori affascinati (sempre più numerosi) e accaniti, intrattabili “avvocati” del “vin nature” comunque inteso e realizzato (non tutti ugualmente disinteressati per la verità: ce n’è più d’uno che su questo gioco del “contro” ha scientemente puntato per guadagnarsi rapidamente e gratis un’altrimenti assai problematica reputazione critica). Roba da rivolta specie se a farla fosse stato un enogiornalista qualsiasi, o magari un produttore di quelli non “naturali”…
Punto di partenza insospettabile invece, e stimolo per una riflessione laica e senza confini su un capo minato ma apertissimo nel mondo del vino, il confronto tra i cosiddetti “naturali” (cosiddetti perché forzatamente autoproclamati, non esistendo ancora alcun parametro costante, certo e oggettivo per classificarli tali) e gli altri, i cosiddetti “convenzionali” (ma a rigor di vocabolario toccherebbe, passasse davvero la prima definizione, indicarli come “artificiali”), visto che l’autore della dichiarazione di cui sopra è nientemeno che Angiolino Maule: fondatore in tempi non sospetti (e presidente) di un’associazione tra titolari di aziende vitivinicole che oggi si chiama “VinNatur”, che è stata capace di provare a dare agli associati un vero disciplinare che potesse un domani diventare fondamento per un riconoscimento, e anche poi di aprire realisticamente a modifiche quando si è resa conto della potenziale forzatura contenuta in certi “dogmi”.
Maule, per giunta, ci ha praticamente aperto la tavola rotonda che ha inaugurato, qualche settimana fa, tre giornate romane di degustazioni e defilé dei suoi associati. Una discussione, contrassegnata peraltro sul palco (un po’ meno a tratti in platea…) da esemplare lucidità, realismo, voglia di procedere e, finalmente, di unire anziché dividere (visto che da noi, come succede in molti altri campi, dalla politica in giù, gente sulla carta accomunata da principi e obiettivi assolutamente coincidenti è poi inconciliabilmente e ferocemente divisa in correnti, “chiese”, quasi sette, tanto che chi volesse, durante la maggior Fiera vitivinicola nazionale, il Vinitaly, assaggiare tutti i sedicenti “naturali” più importanti dovrebbe barcamenarsi tra tre diverse location, facendo la spola in auto e inquinando, dunque, in nome della naturalità, a più non posso il cielo di Verona e dintorni).
Il punto più interessante è stato il ponte gettato dal lucidissimo intervento di Cristina Micheloni (Aiab) verso un dialogo fruttifero e una potenziale alleanza con i produttori (sempre più numerosi, sempre più premiati dal mercato anche per remuneratività delle loro bottiglie, e sempre più presenti in tutte le filiere distributive) “semplicemente” biologici. Quasi a prefigurare un salutare (per territori, suoli, consumatori finali) razzo vinifero ed ecologico a due stadi, che abbia come primo quello di chi rinuncia a pratiche invasive in campo, anzitutto, e poi in parte in cantina (i “bio” appunto) e chi va ben oltre, teorizzando l’obbligo all’abiura dei lieviti selezionati per le fermentazioni a favore di quelli indigeni di cantina (soprattutto) e uva e quello totale o comunque molto incisivo all’uso di solfiti, più una serie di altre scelte che per molti includono anche la rinuncia al controllo di temperatura durante i processi fermentativi.
Sono pratiche che implicano però, specie se improvvisate, grandi rischi. Quelli palesati nei difetti dei vini “bocciati” da Maule, e di ancora (purtroppo) numerosi loro analoghi.
“Naturali”? Forse, anzi certo, se vi piace… Ma poi per forza buoni? Evidentemente no. Dunque “non dobbiamo sforzarci di smettere di migliorare, di studiare, di cercare i metodi giusti, di fare ricerca”, conclude Maule.
Fonte: http://www.repubblica.it/sapori/2016/12/29/news/dibattito_vini_naturali_angiolino_maule-155011734/