Le Marche ha un panorama enoico molto invidiabile, non nascondo una certa predilezione per i Verdicchio in genere, vini dalla spessore olfattivo e gustativo molto riconoscibili e unici. Certo ci sono anche i Pecorini di cui parleremo, ma non mancano anche belle sorprese di piccole
nicchie di vitigni che approfondiremo in seguito, come quello chiamato “Bordò”, un vitigno rosso che geneticamente appartiene alla famiglia della Grenache e i pochi produttori che lo vinificano non hanno notizie certe sul sua arrivo nella zona del Piceno. Ho assaggiato quattro aziende diverse, ma già ne ho definito i tratti peculiari.
Sabato 20 e domenica 21 maggio 2017 si è svolta a Macerata una intelligente e lungimirante degustazione di vini dal Piceno al Conero, passando per Verdicchi…
Artefici un manipolo di piccoli produttori accomunati dal desiderio di far conoscere i loro obiettivi comuni, come tutela dell’ambiente, pratica di un’agricoltura sostenibile e, produzione dei loro vini con metodi artigianali: la lista la trovata sul loro sito – http://www.terroirmarche.com.
Macerata diventa per due giorni un crocevia di confronti costruttivi per gli appassionati dei vini artigianali, il tutto arricchito da un gemellaggio con relativo laboratori di degustazione con un consorzio simile della Borgogna del sud – http://www.artisans-vignerons-bourgogne-sud.com.
A parte il fascino senza tempo della cittadina e delle location, l’evento ha avuto un invidiabile successo che dimostra il crescente interesse di pubblico verso i vini prodotti artigianalmente.
I laboratori si aprono con l’analizzare due aziende del Conero e la capacità di evoluzione dei vini provenienti da Montepulciano, che in questo promontorio che si tuffa nel mare si veste di eleganza olfattiva con una trama gustativa fatta di estrema bevibilità e freschezza.
Un promontorio fatto di dolci colline di roccia calcarea, argilla, sabbie arenarie e l’immancabile brezza marina che arricchisce di freschezza e mineralità i vini, come il GRIGIANO Riserva dell’azienda Malacari a Offagna, un Montepulciano che fermenta in acciaio e maturazione in tonneau da 500 lt.
Il 2008 e il non più disponibile 1998 meritano un approfondimento. Il primo apre con profumi delicati di pepe verde, ginepro, cuoio e balsami tutti con un’eleganza diffusa, quasi assomiglia ad un Brunello. Un’annata che non ha influito sulla bevibilità che si apre con tannini ben amalgamati al frutto e morbidezza diffusa: e qui mi spendo per l’uso delle botti tonneau che a mio modesto parere donano eleganze assolute.
Il 1998 ti lascia senza respiro, tanta è la piacevolezza di beva e l’intensità dei profumi puliti e profondi prova tangibile della capacità evolutiva di questo Montepulciano frutto di una selezione massale in azienda centenaria. Il colore rosso rubino con leggeri riflessi aranciati, fanno risaltare un frutto ancora integro come la ciliegia che stranamente non è cotta a cui si associano nuance balsamiche e sottobosco. La trama tannica è setosa e l’estrema acidità ancora presente ne fanno un vivo molto vivo così come dovrebbe essere il vino dell’annata ben fatto in vigna e ben gestito in cantina.
Il seguito del laboratorio ci porta ad analizzare le chicche di un’altra storica azienda la Moroder e il suo DORICO Riserva 2013 dal naso cupo, resinoso con sbuffi di caffè e liquirizia dove il frutto gioca un ruolo quasi secondario ma finalizzato ad ammorbidire l’insieme. Ricca ed in evidenza la parte acida e tannica che lo slancia al gusto.
Bella sorpresa è il Dorico del 1990 –ormai non disponibile- che ci dimostra la notevole capacità evolutiva dei vini del Conero. Il colore è ancora integro e scheggiato di note aranciate, con pepe nero al naso e un caffè ancora in evidenza. La terziarizzazione dell’insieme è inevitabile ma con eleganza assoluta. Ottima la struttura acida e la tessitura dei tannini che lo fanno assomigliare a un vecchio “Barolo”.
Ma ora passiamo ai Verdicchio, vini che si sono confrontati egregiamente con i Borgogna del sud e un piacevolissimo Riesling della Mosella.
Con piacere ritorno a parlare di GEGÉ (https://andreadepalma.it/cantina-cavalieri-nelle-marche-gege-il-verdicchio-di-matelica-doc-che-non-ti-aspetti-fine-elegante-e-longevita-assoluta/) il Verdicchio di Matelica di Gabriele Cavalieri, ma in questa occasione abbiamo sentito il 2014 che mi conferma l’estrema eleganza a partire dall’olfatto intenso, fatto di nespola e pesca gialla, con sbuffi di spezia come il cardamomo. L’assaggio è sostenuto da una forza estrattiva ricco di salinità con finale di mandorla.
E, per la serie “non si smette di imparare, scopro il Verdicchio dei Castelli di Jesi dell’azienda La Distesa a Cupramontana (An) in contrada San Michele, un territorio che dà vita a numerosi vini di alta qualità. Caratteristica diffusa è la mineralità e la salinità ben sostenuta da tanta acidità.
Tutti i vini nascono con lavorazioni artigianali, fermentazione spontanea e tanta passione, ben leggibile nel Verdicchio di Jesi Terre Silvate 2016: stupisce l’immediatezza all’olfatto della mandorla e nocciolo di albicocca, con avvolgenze floreali e un palato fresco e sapido, senza tralasciare la piacevolezza di beva.
Diversa, invece è la lavorazione del Verdicchio gli Eremi 2015, che alla fermentazione spontanea associa una macerazione in legno con le bucce e successiva maturazione per dodici mesi. Il colore ci dice subito che è un macerato, i profumi vertono su note bucciose, zenzero, nocciolo di albicocca e mandorla dal gusto pieno, quasi masticabile che si arricchisce ulteriormente di salmastro e pietra focaia.
Dopo tutto ciò ci si aspetta una bevibilità compromessa o pesante ma invece si arriva piacevolmente al secondo bicchiere.
Artefice di tutto ciò è il giovanissimo Corrado Dettori, aria ribelle ma cervello fino…
Altra bella sorpresa è il Verdicchio Classico di dell’az. FAILONI: siamo a Staffolo su una collina argillosa, piccolo e gradevole borgo medievale non molto lontano dal mare. Profumi e gusto ci raccontano un Verdicchio di Jesi di stampo contadino, con fermentazione tradizionali e con lieviti indigeni e maturazione fra inox e cemento zero chimica nei vigneti e tanta passione. Dopo le solite note di mineralità, acidità e sapidità comune a tutto il territorio, questo verdicchio mi coinvolge con il solito mandorlato e/o nocciolo di albicocca e, una sventolata di erbe mediterranee.
Altro territorio e ricco di sorprese è la zona del Piceno, un territorio collinare che raggiunge anche i 450/500 mt slm, dove sono coltivati i principali vitigni autoctoni come Pecorino, Passerina, Montepulciano e Sangiovese. Un’attenta analisi dei bicchieri degustati mi porta a riassumere che la caratteristica principale che ne emerge è piacevolezza olfattiva e l’agilità gustativa dei vini dal giusto equilibrio fra acidità e sapidità.
Non ho trovato vini con qualche hanno sulle spalle dotati di eleganza particolare, ben fatti e buoni si…, ma molto meglio i sorsi dei vini con una lavorazione fresca in inox e pronti da bere.
Mentre molto più interessante è, il “Bordò” una forzatura dovuta dai contadini dell’epoca che non conoscendo la provenienza della propria vigna la chiamavano con nomi esterofili: ricordo in Basilicata un anziano alla mia domanda di come si chiamasse il vitigni che stava coltivando rispose “è lu francese”…
E così sarà stato per questo vitigno poi si è scoperto è una Granaque arrivata chissà come e intrisa di tante leggende; fatto sta è che si ottiene un vino molto elegante che ha bisogno di invecchiamento e inizialmente sembra un pinot nero sia nei colori sia nei profumi come pure la trama tannica.
Non mi dilungherò nell’analisi, ma ho trovato interessante solo tre o quattro produttori e dopo aver interrogato i produttori è emerso che solo uno ha le vigne storiche, mentre gli altri hanno innestato successivamente.
Due sono i produttori piceni che mi hanno incuriosito, a partire da Pantaleone, dove l’esuberante Federica mi ha presentato un Pecorino il “Onirocep”: non è un parolaccia… ma il vitigno Pecorino al contrario. Fatto in collina ricco di profumi agrumati, floreali e dal sorso tagliante, affilato e agile. Molto particolare è il suo Bordò “La Ribalta” da assaggiare senza esitazioni.
Passiamo alll’azienda Vallorani, sempre nel Piceno che attua una agricoltura biologica, coltiva gli stessi vigneti predetti e ho amato molto la schiettezza e l’immediatezza del suo “Polisia “ 2012 fermentazione e maturazione inox con affinamento bottiglia, che anche se, con qualche anno sulle spalle sfodera piacevolezza di beva con frutto integro sia la naso che al gusto.
L’uvaggio è azzeccato fatto di Montepulciano e Sangiovese. Quest’ultimo a un mio giudizio riesce a esprimersi meglio in queste zone: comunque è una mia impressione personale.
Chiudo con una sorsata di Pecorino dell’Azienda Aurora, bella scoperta dovuta al mio poco girovagare –ma sto colmando le mie lacune.
Storica azienda nella zona di Offida, ottimo interprete del Pecorino e, infatti il suo 2015 mi conquista con i suoi profumi ricchi di fiori e note agrumate e dalla beva sapida e ricca di corpo, con finale salato con tanta salivazione: fermentazione in parte inox e in parte legno, per una bevuta che soddisfa e non stanca mai.
In conclusione, ho conosciuto bei produttori, giovani e dinamici, che adottano tutti una agricoltura ecosostenibile, con fermentazioni spontanee e gestione dei terreni in biologico. Tanta voglia di fare bene e soprattutto sorridenti.
2 commenti. Nuovo commento
Meglio se fai rileggere i tuoi post da qualcuno per grammatica e forma.
Grazie del consiglio