

“Bello, vero, il castello?”
Sì, quello laggiù. No, non siamo in Toscana. E neppure in Piemonte. Niente Langhe o Chianti: ci troviamo in Puglia, signori. A pochi chilometri dal maestoso Castel del Monte, proprio lui, quello voluto da Federico II nel XIII secolo. Chissà se l’imperatore lo usava come rifugio di caccia, luogo di meditazione o – in anticipo sui tempi – una sorta di SPA medievale. Non lo sapremo mai.

Dimora della Famiglia Ceci e sede della bottaia
Una certezza però ce l’abbiamo: il territorio della Murgia nord-barese – tra Andria, Minervino, Corato e Ruvo di Puglia – è un promontorio incastonato nella lunga distesa piatta della regione. Ed è proprio qui che nascono vini sapidi e ricchi di sapore.
Complice anche il vento che soffia dai Balcani, che asciuga le viti e anche il sudore dei contadini. Gente che per secoli ha modellato queste terre con muretti a secco e trulli, segni visibili di una geografia del lavoro e della dedizione. Oggi guardiamo alla Francia con la sua nomenclatura di “Crus”, “Clos”, “Lieux-Dits” e “Climats”, dimenticando che qui si faceva qualcosa di simile già da molto prima, ma senza bisogno di etichette patinate.
Su queste terre si è sempre coltivato il Nero di Troia, vino robusto, nero e tannico. E poi c’era lui, il Bombino Nero, considerato per anni il fratello umile: quello che finiva nelle tavole contadine, schietto, sincero, senza pretese.
Il nome “Bombino” deriva dalla forma minuta e compatta del grappolo – sembra un bambino, appunto. Caratteristica unica è l’incapacità di alcuni grappoli di maturare tanto da rendere il vino tipicamente ricco di acidità e con poco alcol. La vinificazione contadina era semplice e diretta: macerazione breve, raspi interi, tini aperti, pressatura con presse di legno a doghe. Il risultato? Un vino dal colore rosso tenue, profumi non molto puliti, ma capace di risvegliare persino un’anima sopita dalla calura estiva.
(Mio padre, quando gli dissi – reduce dal mio primo corso da sommelier – che il suo vino non mi piaceva, mi tolse la parola. E non per un giorno: per la vita.)
Oggi, fortunatamente, produttori come Giancarlo Ceci hanno riportato dignità a questo vino. Contro ogni moda effimera che vuole i rosati scoloriti, pallidi, tendenti al trasparente. E perché poi? Per sembrare francesi? No, grazie. Il Bombino Nero è un vino con un’identità vera, che senza interventi forzati si rivela sapido, profumato e godurioso. Al contrario, per togliergli personalità dobbiamo lavorarci molto, troppo. E a che pro?
Torniamo a parlare del Parchitello di Giancarlo Ceci, allora. Una famiglia che possiede la tenuta sin dal 1800, una masseria del Seicento che prima di essere cantina è un’azienda agricola certificata BIO, BIOVEGAN e DEMETER. Producono ortaggi, olio extravergine, conserve di pomodori, fertilizzanti naturali e – udite udite – allevano mucche podoliche. Tutto in casa. Tutto sostenibile. Sì, siamo ancora in Puglia.
Bene. Ora fate così: compratevi il Parchitello. Al primo sorso vi trasformerete in quei contadini a torso nudo che zappavano la terra sotto il sole. Sentirete la loro soddisfazione in ogni sorso di questo rosato dal colore cerasa.
Al naso si apre con profumi di melograno, fragoline di Murgia (quelle che da piccolo mangiavo nella campagna di famiglia), agrumi freschi e invitanti. Al gusto, il gioco tra acidità e frutto crea un equilibrio perfetto. La persistenza è viva, il finale è quasi salato, gustoso, saporito. Una bottiglia che non arriva mai intera a fine pasto.
Angolo “alla Piero Angela” (poi giuro che chiudo):
Qui non c’è trucco e non c’è inganno. Il terroir fa il vino: vigoroso, tagliente, autentico. Non è un caso se il Nero di Troia veniva usato per “tagliare” vini nobili di altre regioni. Qui la vite soffre, scava in profondità per cercare acqua e trova sostanza. Nutrimento. Personalità. E allora, spiegatemi: perché dobbiamo svestire questo vino per farlo somigliare a modelli modaioli da happy hour in Costa Azzurra?
Quanto durerà ancora questa moda? Dovremo poi spiegare daccapo che questo è un rosato. Ma fatto in Puglia.
Il vino, per restare nella memoria, deve raccontare un territorio, un popolo. Deve creare un’esperienza positiva. Non siamo i soli a fare vino nel mondo, certo. Ma abbiamo qualcosa da dire. E questo vino lo dice.
Conclusione gastronomica (la morte sua):
Una bruschetta generosa con olio di Coratina, le lumache al pomodoro (i mitici ciammaruchi), contorno di friggitelli. e la zuppetta di cozze al pomodoro. E il Parchitello nel calice. Così sì, che si vive.
Agrinatura di Giancarlo Ceci
Contrada S. Agostino 15
Andria (BAT)
www.giancarloceci.com