Brunello Biondi Santi, Tignanello, Sassicaia, Solaia, Pian delle Vigne, Guado al Tasso a confronto in una degustazione dello storico millesimo 1998…
Ovvio… a mio parere, il Sangiovese di Biondi Santi stravince per eleganza e signorilità su tutti: perdonatemi questa piccola anticipazione, ma, la realtà è questa.
Indubbiamente, non si davano voti e non si premiava nessuno, tutto nasce dal desiderio di Maurizio Balducci di radunare attorno a se vecchi e nuovi amici.
Lo strumento vino è sempre vincente e, a esaudire il desiderio di Balducci ci pensa un gruppo vincente della Fis Puglia ben orchestrati dal puntualissimo Giuseppe Cupertino e dalla valida collaborazione di Silvano Alicino.
A presentare la serata e i nobili vini non poteva essere uno qualunque, ma solo alcuni hanno la conoscenza del territorio e, sono padroni della storia del territorio toscano, dove nascono perle enoiche come Il Brunello e i cosiddetti “Super Tuscan”.
Una di questi è Daniela Scrobogna relatrice -e tanto altro- della Fis di Roma, che ha condotto la serata, lasciando parlare solo il vino nel bicchiere, facendone trapelare l’anima e l’essenza da ogni sorso, senza mai perdere il filo conduttore della serata: il sangiovese…
All’ingresso tutte le bottiglie erano allineate come tanti soldatini pronti per darsi battaglia; sala strapiena, abiti eleganti e tanta aspettativa. Sembrava di dover assistere ad un concerto di musica classica e, sicuramente lo era…
I ‘musicisti’ in elenco non erano da meno, già dal colore che s’intravedeva nei bicchieri, emergeva chiara e netta la musica che avremmo ascoltato: toni sfumati di rosso rubino con leggere unghie tendenti all’aranciato per tutti i vini: il millesimo 98 nel complesso sembrava molto più fresco e attuale di tanti altri vini. Qui si capisce la potenza e la capacità evolutiva dei grandi vini e soprattutto del Sangiovese.
Ormai non fa più notizia, ma sempre impeccabile il servizio della Fis (che onora il nome Sommelier) puntuale e snello, mai irrigidito da tecnicismi inutili.
I cosiddetti “supertuscan” nascono con una precisa missione negli anni fra il 60 e 70 : combattere l’invasione dei vini da vitigni internazionale della California vitivinicola in grossa espansione.
Idea lungimirante degli Antinori e, ancora prima, del Marchese Incisa della Rocchetta che abilmente seppero creare un vino da taglio moderno con vitigni internazionali, in aggiunta al sangiovese. Maestro di tutto ciò come ben sappiamo èstato il grande Giacomo Tachis che amava molto il taglio bordolese e ne tirava fuori dei vini eleganti. E, il successo dei sui vini come il Sassicaia e tanti altri è ormai storia e realtà.
Di tutto questo interventismo per frenare l’avanzata del nuovo mondo enoico, non ne ha avuto bisogno il grande Brunello di Montalcino Biondi Santi: a mio modesto pare il suo sangiovese e le sue tecniche di lavorazione ne fanno sempre un grande portabandiera dell’italianità nel mondo.
Sarà la mia predilezione per gli autoctoni, ma sinceramente, nella batteria in degustazione il Brunello è stato gettonatissimo, a seguire il Tignanello che ne riporta l’80 % in assemblaggio con il Cabernet sauvignon.
Sarà stata l’annata 98, ma il Brunello era affilato al naso e al palato come una Katana Giapponese, e usando una metafora musicale, era sicuramente il primo violino in tutta l’orchestra e si faceva sentire con la sua musica da solista.
Perdonatemi se farò una classifica, ma analizzo il contenuto del bicchiere e non l’alone della notorietà indotta da nomi e blasoni e, il bicchiere mi dice che Biondi Santi vince nella “volata finale” come solo il grande Pantani sapeva fare nel ciclismo; il Tignanello appena dietro e poi, gli altri seguono a ruota con il seguente ordine di arrivo al traguardo: Sassicaia, Solaia, Guado al Tasso, Pian delle Vigne.
Del Brunello di Montalcino di Biondi Santi ne ho già parlato in un’altra storica verticale (https://andreadepalma.it/brunello-di-montalcino-biondi-santi-verticale-borgo-eganzia/) e quindi potrei sembrare di parte, ma invece è solo la riconferma dl mio personale gusto. L’annata 1998 mi mancava nella degustazione -definita annata del secolo, e infatti non ha tradito l’aspettativa. Nel servizio era prevista per ultima e infatti ha creato una comune approvazione.
Il suo colore rosso rubino era appena intaccato da un alone tendente all’aranciato, i profumi complessi, si esprimono con eleganza e persistenza infinita: l’esordio è con note di mare e salsedine; poi emerge la spezia e l’alloro. Gli sbuffi di tabacco da pipa e cuoio dolce sono da ‘scrigno’ a un sottobosco fatto di porcini, tartufi e frutti scuri.
Il primo sorso mette in risalto i tannini setosi, uniformi e di grande stoffa gustativa; la parte acida è viva e vegeta e riesce con facilità a sostenere sia il colore che tutto il corpo, apparentemente esile, ma ricco di sapidità e un finale che non c’è. È inutile ribadire che il vino è ottenuto da Sangiovese 100% clone BBS11 ottenuto da selezione in azienda.
Anche a bicchiere vuoto continua a dimenarsi e a imporre il suo nobile lignaggio: finale da inchino come solo un primo violino solista sa fare…
Il Tignanello 1998 di Antinori, nasce nel cuore del Chianti Classico, ma non ne porta il nome, ma solamente l’anima con circa l’80 % di sangiovese che lo tiene saldo nella tradizione Toscana, con una pennellata di Cabernet sauvignon che lo rinfresca e lo rende appetibile sui mercati esteri.
L’eleganza nel colore e nell’impronta olfattiva è figlia del sangiovese, a partire dalla florealità persistente, dove la viola si fonde, quasi a nascondersi dietro note balsamiche e di cuoio dolce in un gioco di eleganza suadente; la cannella netta è da attribuire al Cabernet e chiude un quadro olfattivo degno di un grande vino.
Anche al gusto il Sangiovese predomina con la setosità dei tannini e le note saline che gli donano sapidità, associate a una base acida importante, rinvigoriscono un sorso mai sopito. Le note agrumate di arancia rossa, aumentano la succulenza già vivacizzata dalla mineralità persistente; il finale è morbido e ricco di succulenza di frutto.
Grande performance e, non da poco per il Sassicaia 1998 a Bolgheri, un vino che nasce grazie alla passione di un gentiluomo toscano negli anni venti, appassionato di cavalli da corsa e del buon vino francese. Come sempre succede, prima si produce per se e per gli amici e, poi inizia la produzione per la commercializzazione, con la prima bottiglia nel 1968 (il resto della storia la trovate sul loro sito): il seguito del racconto è la storia di un successo enologico che dura da anni.
Il territorio di Bolgheri è da prendere ad esempio per il valore creato e la capacità di aver inventato un brand riconoscibile in tutto il mondo, valorizzando un territorio sassoso –ecco il nome Sassicaia, e andrebbe studiato e preso a esempio da tutti.
In questa terra, la ricetta del buon vino sembra facile e scontata: 85% di Cabernet Sauvignon e 15% di Cabernet Franc, terreni ricchi di scheletro; esposizione dei vigneti ideale; altitudine dai 100 ai 300 metri s.l.m e, il mare che sta a guardare e a ventilare, ma a molti questo non è riuscito, perché tanti sono i tentativi in Italia di emulazione: evidentemente c’è l’ingrediente segreto…
Ma, ora facciamo parlare il bicchiere e il vino che racconta un quotidiano fatto di passeggiate a cavallo con l’odore dei finimenti, prati erbosi, rumore di zoccoli; della salsedine che inebria i profumi di sottobosco; dei cespugli di mirto e frutto nero, ammorbiditi dalla dolcezza del tabacco da pipa, il tutto con signorilità ed eleganza assoluta: si lo ammetto, amo il sangiovese, ma anche questa è una bevuta da signori.
Al gusto i tannini si arrotondano con il frutto e si rinfrescano con la sapidità e le note saline che traggono vigore dalla vivacità dell’acidità. Un sorso con una persistenza lunga e ricco di morbidezza: ed ancora vibrante…
Il Solaia 1998 è il fratello speculare del Tignanello, sia per vigna che per assemblaggio: qui prevale il Cabernet con l’80% e solo 20% di Sangiovese, una bevuta morbida, elegante, piacevole, per gli appassionati del genere, dove le note resinose e vegetali si amalgamano bene con la spezia e il cuoio, nessuna sorpresa come per i precedenti, compreso al palato, rotondo e ricco di frutto succoso, con tannini di rango ed una beva snella.
Il Guado al Tasso 1998 è la tenuta di Antinori a Bogheri, sempre da vitigni francesi, 60% Cabernet, 20% Merlot e 10% di Syrha. Le erbe amaricanti, con cuoio e spezia, monopolizzano un naso equilibrato e rotondo, con alloro, e balsami che si arricchiscono della ciliegia del Syrha. Al gusto predominano le note salmastre con equilibrio e morbidezza di frutto.
Il Pian delle Vigne 1998 è il Brunello di Montalcino di Antinori. Blasone rispettato per questo vino, tanta eleganza nei profumi, giocato essenzialmente sul frutto come la ciliegia croccante, ancora netta e pulita ben fusa alle spezie e balsami. Al palato il tannino è setoso con buona struttura acida e tanta sapidità.
Ovviamente tutti questi vini sono stati messi a disposizione dal grande anfitrione Maurizio Balducci ritoccando in negativo la sua folta cantina di vini blasonati…
E, con tutto questo bel bere non poteva mancare la cucina dello chef Donato di Pierro, che ha messo in risalto la capacità gastronomica di tutti i vini.
Locanda di Beatrice
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