
Sebastiano de Corato
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Rivera, in Puglia, è un nome che non ha bisogno di giustificazioni. La famiglia de Corato è tra i pionieri dell’imbottigliamento in regione, quando quasi tutti preferivano riempire cisterne dirette in ogni angolo dello Stivale.
Ora basta con le sviolinature, passiamo alle cose serie.
Da figlio della Murgia barese — sì, lo ammetto — sono abbondantemente incaxxato. E lo scrivo ovunque: il nostro rosato, quello dei nostri padri, viene svilito da certi rosa “instagrammabili” che nulla hanno a che fare con la nostra terra. Per ottenere quei colori da cipolla sterile si sacrifica sapore e profumo. E questo, signori miei, è un peccato.
Con il Fabri, invece, la famiglia de Corato ha resistito alle sirene del mercato. Hanno fatto un vino che sa di Puglia, di Murgia, di pietra carsica. Un vino che sa di giornate passate a spaccare pietre per fare muretti a secco, delimitare vigne e proprietà. Altrove li chiamano cru. Qui, semplicemente, era la vita di tutti i giorni. E a fine lavoro, quel nettare diventava l’energy drink di chi non aveva bisogno di Red Bull.

Carlo, Sebastiano e Marco de Corato con l’enologo Angelo Mauriello
Fabri vuole innanzitutto rendere omaggio al fratello che non c’è più, ma anche a quegli uomini che hanno scolpito la nostra storia, fissando per sempre nella memoria il sapore autentico del rosato da Nero di Troia. Con lunghe macerazioni, quest’uva regala rossi intensi e tannici, capaci di fronteggiare qualsiasi piatto ricco e untuoso; con un contatto breve con le bucce, invece, si veste di rosa e svela un carattere deciso e inconfondibile.
Il problema è che non tutti sono abituati a quel “contadino in bottiglia”. Per questo, in Rivera, hanno rispolverato vecchie tecniche: anfore di terracotta fine, non smaltate, per far respirare il vino più velocemente. Da noi si chiamavano capasoni. Questi vasi arrotondano e smussano gli spigoli della gioventù del vino, rendendolo più immediato e accessibile. Così si accontentano anche quelli che amano roteare il bicchiere come se fosse una trottola.
Il colore è un rosa cerasuolo brillante. I profumi? Tanti, puliti e ben definiti: dai fiori di viola alla prugna, passando per il melograno che litiga con l’arancia amara per primeggiare in freschezza.
Io non ho resistito: l’ho bevuto senza ritegno. Ma, se ci si concede un attimo, il ritmo cambia. Arriva il minerale, con arpeggi di salsedine. In bocca, armonia pura e ritmo incessante, con una salivazione che invoca un contrappunto gastronomico: orecchiette con cime di rapa e acciughe, “brasciola” al sugo in inverno, tiella di riso, patate e cozze in estate. Da urlo con uno spaghetto ai frutti di mare.
Il frutto non molla: riempie, soddisfa e persiste. Un vino difficile da lasciare nel bicchiere. Bevete con moderazione, però: bisogna pur tornare a casa.
Nota tecnica
Nulla nasce per caso: la famiglia de Corato ha sempre fatto selezioni massali per ottenere un Nero di Troia fedele alla tradizione, con grappoli piccoli e bucce spesse. Così i venti asciugano le uve, evitando muffe e problemi. L’acino spesso non si spacca e non ossida, preservando profumi e integrità del vino.
A proposito: Rivera produce da sempre il grande Falcone, un blend di Nero di Troia da tendoni storici e Montepulciano, per ammorbidire i tannini. E, per farvi capire di chi stiamo parlando, vi lascio una storica verticale di quando si chiamava ancora Stravecchio… perché certe radici meritano rispetto.
Azienda Vinicola Rivera S.p.A.
S.P. 231 km 60,500 76123 Andria (Bt)
Italia – +39 0883 569501 – info@rivera.it – www.rivera.it