

Qualcosa, negli anni, si è perso. Forse si sta ancora perdendo. Parlo del gusto, dei profumi, di quel senso di appartenenza che si provava sorseggiando un vino e riconoscendovi, senza esitazione, il carattere del territorio.
Quel senso di identità che faceva esclamare, con fierezza e semplicità: “È un Negroamaro pugliese”.
Bastava guardarlo: le tonalità intense del colore, i profumi delicatamente floreali intrecciati a leggere sfumature di spezia nera, quel gusto amarognolo e inconfondibile… tutto parlava la lingua del Sud, della terra rossa, del sole. Tutto evocava una tradizione, un’origine, una memoria.
Sì, sto parlando proprio di lui: del Negroamaro con una pennellata di Malvasia Nera. Un sapore che non incontravo più da tempo. Poi, durante una degustazione tra amici, quando ormai credevo che certi ricordi fossero solo questo—ricordi—è accaduto l’imprevedibile.
Un signore dai tratti gentili, voce tenue e rassicurante, estrae con disinvoltura dalla sua busta una bottiglia di Notarpanaro di Cosimo Taurino, annata 1985.
Avete letto bene: quarant’anni. E portati con una grazia invidiabile. Come un uomo elegante, bastone alla mano e cappello in testa, che si muove con passo leggero e sicuro tra un gruppo di voci troppo alte e presunzioni troppo ingombranti. Lui no. Non ha bisogno di alzare la voce. Si fa notare per la sua sobria autorevolezza.
Incredulo, ma con una speranza che prende forma, attendo che mi venga versato il vino nel bicchiere. Lo stupore è immediato. E la speranza, poi, diventa certezza: quel Negroamaro l’ho ritrovato.
Mi tornano alla mente i primi corsi dell’AIS (fine anni 90), quando ci raccontavano che il Negroamaro, se ben interpretato, non aveva nulla da invidiare al blasonato Nebbiolo.
Nel calice, un rosso rubino ancora vivido, con unghia perfettamente coerente con il vitigno e con l’annata: mai troppo carico, mai esagerato. Una compostezza che parla di equilibrio e rispetto.
I profumi? Sorprendentemente puliti: nessuna riduzione, nessuna ossidazione. Solo un’armonia sottile e precisa. I sentori balsamici emergono nitidi, danzando in compagnia di una spezia nera che gioca con sottili accenti di salsedine. E man mano che il vino si apre, si fanno strada note di sottobosco, con funghi e humus che richiamano certi Brunelli d’annata.
Il sorso è una conferma. La spalla acida è viva, netta, a sorreggere un frutto nero profondo e accenni di cuoio dolce, con tannini perfettamente integrati. Il frutto è ancora lì: presente, vivido, pulsante.
Un vino che, servito alla cieca, potrebbe mettere in difficoltà—e forse far vergognare—ben più noti e celebrati protagonisti del panorama enologico.
E allora non posso che ringraziare, dal profondo, il mio amico Antonio Battisti da Pietrasecca per questo dono emozionante. Un vino che mi ha regalato un momento di gioia sincera, ma che allo stesso tempo mi ha fatto riflettere: non bevevo un Negroamaro così da anni.
Il vino è ancora in produzione grazie alla Figlia Rosanna Taurino e al marito Antonio Bello.
www.taurinovini.it
1 commento. Nuovo commento
Grazie caro, la qualità unita al territorio ed i sacrifici non muoiono mai ed è sempre vincente.