di Andrea Guolo
Caro Luciano, mi poni la domanda che ogni bolognese vorrebbe farsi rivolgere, per poter “dire la sua”. Peccato che io non sia bolognese. Lo sono, ma d’adozione. E non ho alcuna voglia di essere ripudiato dopo soli quattro anni di residenza, perché in questa città ho trovato troppe cose per cui valga la pena viverci, a cominciare proprio dai tortellini.
Vuoi farmi impallinare così presto? Vuoi che ristoratori, amici e conoscenti mi tolgano il saluto, proprio ora che mi sto conquistando un po’ di fiducia? No, niente classifiche in questo pezzo, i ristoranti citiamoli pure ma senza stroncature o discutibili promozioni.
I bolognesi, sul tortellino, intavolano discussioni animate e condite con elementi di chimica, fisica e perfino metafisica. Ognuno ha la sua verità assoluta, il suo posto del cuore, che raramente si trova oltre il confine immaginario delle mura cittadine… Modena, per citarla (chiedo preventivamente scusa, ai bolognesi, per la provocazione), non la considerano nemmeno e se ne fregano del fatto che i modenesi contendano loro la primogenitura del tortellino, sostenendo che in realtà sarebbe stato inventato a Castelfranco Emilia, che sta a mezza via ma già sotto Modena.
Per molti bolognesi il mondo inizia sulle sponde del Savena e termina su quelle del Reno, figurati se guardano oltre il Samoggia… Quel tortellino, peraltro diverso – com’è diverso ogni tortellino, frutto di antiche tradizioni e interpretazioni che vanno dalla preparazione della sfoglia al ripieno – proprio non lo considerano, e a nulla vale il tentativo che prende il nome di “Disfida del tortellino” a cui ha prestato la propria autorevole presidenza di giuria quel genio che si chiama Massimo Bottura, modenese, che ha mestamente assistito nelle due edizioni finora inscenate al trionfo di due “nostri” ristoranti, la Taverna del Cacciatore (da Castiglione dei Pepoli, nella montagna) a gennaio e la Cantina Bentivoglio (quelli del jazz, via Mascarella, dentro mura) a luglio. Ovvio che finisse così.
Il tortellino, credimi, è bolognese, non si discute. O almeno non lo si fa con i bolognesi doc. Se proprio devo esprimere una mia preferenza, ti parlerò del tortellino che gusto una volta l’anno in una festa de l’Unità di quartiere. Aspetta, rilassati! Renzi, con il suo patto del tortellino, non c’entra niente. Quello fu suggellato alla festa nazionale, roba da grandi numeri che, come ben sai, mal s’accompagnano con la qualità. Renzi, prima di mangiare, dovrebbe informarsi… Il mio è il primo tortellino estivo, si mangia a inizio giugno (ancora primavera, dice il calendario), e lo propone la periferica sezione Pci (Pd? Cos’è il Pd?) della Dozza. Un autentico spettacolo, per me non ha rivali. Se solo i “compagni” si decidessero a metterci più brodo e a servirlo ben caldo, avrebbero la fila fin da Porta Galliera. Vanno comunque a ruba, e non per metafora: glieli fottono proprio! Lo scorso anno, di notte, i soliti ignoti forzarono la porta della sezione e ne portarono via sessanta chili, che calcolando un valore commerciale di 25 euro al chilo (ma c’è chi li vende oltre i 30, e se passi per le vie del Quadrilatero te ne accorgerai!) fa una refurtiva da 1.500 euro, mica ciccioli (boni anche quelli!).
I tortellini della Dozza però, salvo episodi di cronaca nera, li trovi solo alla Dozza, perché i militanti li preparano in esclusiva per la loro festa di sezione, riunendo per varie serate una volonterosa manovalanza diretta da un misterioso autore del ripieno – i vecchi comunisti sono persone serie, il nome non lo rivelerebbero nemmeno sotto tortura! Uno di loro mi ha altresì confidato che il gruppo, sotto la stessa direzione, si trova anche prima di Natale a chiudere centinaia, forse migliaia di tortellini per il pranzo di famiglia. “Mia moglie ha la stessa ricetta, ma uguali non vengon mica” sussurra il compagno.
Insomma, caro Luciano, per trovare la vera Bologna occorre un po’ di fatica e non basteranno i corsi di cucina delle sorelle Spisni né le interpretazioni di chef che abbandonano l’innovazione per tornare alla tradizione, alla rievocazione di quegli antichi sapori in via d’estinzione. I tortellini li devi scovare nelle case, diventando segugio di *zdaure o arzdore *(così si chiamano le regine del focolare), sulle tracce del profumo di ripieno, augurandoti che qualche moderna diavoleria non abbia preso il posto del buon vecchio matterello. Quella che ti ho raccontato è una delle “situazioni” e non so se sia “una delle tante”.
Riparliamone tra qualche anno, nel frattempo potrei averne trovate altre, probabilmente fuori città, lontano dal tempo che è denaro, e il tortellino ne richiede di tempo!
Quindi, per assaggiarne di buoni a Bologna, nei ristoranti, preparati a spendere un bel po’. Si parte dai 10-12 euro al piatto e si può salire oltre i 15, non sempre giustificati. Già, penserai tu, ma dove mi mandi, se non rispondi alla domanda iniziale?
Ti racconterò come la pensa chi ne sa più di me, che *son venessian* anche se vivo qui da anni. L’ho chiesto a un amico e collega giornalista, autore del più importante volume sulla storia del tortellino bolognese. Si chiama Giancarlo Roversi, già lo avrai conosciuto, di lui ti puoi fidare.
I suoi posti del cuore sono tre. Il primo è ormai un classico della cucina Slow, l’*Osteria Bottega* di via Santa Caterina, che tanto amava il compianto Stefano Bonilli.
Il secondo è *La Grotta*, che sta su a Mongardino, tra Sasso e Monte San Pietro, ma per arrivarci dalla stazione centrale ci vuole un tot di curve e chilometri…ti ci porto io la prossima volta che sei a Bologna, magari avvisami!
Il terzo, se vuoi cucinarteli a casa, è un negozio, *La Bottega *di via Montegrappa.
Indicazioni altrettanto utili mi sono state offerte da un altro collega, Fabio Bottonelli, che ha firmato a quattro mani con Giulia Rossi l’efficace libro/guida “Mangiare fuori a Bologna”, con una preziosa classifica finale suddivisa per piatto.
Tra i tortellini svettano tre classici indirizzi bolognesi: l’intramontabile *Annamaria *di via Belle Arti (“né troppo grandi né troppo piccoli, semplicemente perfetti”), *Sandro al Navile* e lo storico *Biagi*, che non sta più alla Grada e tantomeno alla rotonda di Casalecchio, dove divenne “il mito” frequentato tra gli altri da Enzo Ferrari, Luigi Veronelli e Gianni Brera, bensì in via di Savenella.
Di mio posso aggiungere qualche altra bella scelta. Tra gli “stellati”, ho ottimi ricordi dei tortellini di Aurora Mazzucchelli al *Marconi*, che purtroppo non vedo più in carta, ma per Natale sono certo che li riproporrà. Un classico intramontabile, per quando discusso, resta il *Diana*: vacci senza pregiudizi, ordina galantina di pollo, tortellini, fatti servire i bolliti dal carrello e goditi la tradizione. *Da Gianni*, in via Clavature, mi sono sempre trovato bene, così come da *Franco Rossi *(un gioiellino) in via Volturno e dalla *Gigina *a Corticella.
Tra i top del centro conosci già *i Portici*, dove hanno creato pure la bottega della pasta, e *I Carracci *del “mitico” hotel Majestic fu Baglioni. Comodissimo, a due passi dalla stazione in Bolognina, troverai la *trattoria di via Serra*, dove prenotare è una mezza impresa. Se hai voglia di fare un po’ di strada goditi naturalmente *Amerigo *a Savigno e la *Trattoria del Borgo *a Monteveglio, indubbiamente il mio ristorante preferito in provincia. E se vuoi approfondire la questione dell’origine del tortellino (ma ci sono argomenti più interessanti, fidati!) vai a Castelfranco Emilia, da *La Lumira*, di cui mi dicono un gran bene.
C’è un ultimo aspetto, che potrebbe apparire scontato… ma ai tuoi lettori, molti dei quali vivono da Roma in giù, è il caso di ricordarlo. Il tortellino va in brodo, e basta. Che sia di cappone, gallina, al limite manzo, purché sia brodo! Condito al ragù è ridondante, non se ne parla. Quanto alla panna… ti lascio ricordando la “bacchettata” che l’allora giovane prof. Massimo Montanari, imolese, oggi certamente il più autorevole docente di storia dell’alimentazione, racconta di aver preso al primo incontro con l’illustre e compianto maestro Piero Camporesi, critico e curatore dell’opera di Pellegrino Artusi. Il prof. Montanari ebbe l’ardore di ordinare un piatto di tortellini alla panna, incontrando lo sguardo sprezzante di Camporesi, che lo ammonì: “Lei, caro professore, sta commettendo un atto di sacrilegio gastronomico”. Ebbene sì, caro Luciano: quella dei tortellini è una questione molto seria…
Fonte: www.lucianopignataro.it